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IL CLOWNING E L’IMMAGINAZIONE

IL CLOWNING E L’IMMAGINAZIONEflying

Articolo pubblicato nel Dicembre 1996 all’interno di “Pratiques Corporelles” scritto da Jean-Bernard BONANGE. Adattato e tradotto dal Francese da Vivian GLADWELL


L’approccio al clowning che abbiamo sviluppato nel corso degli ultimi 15 anni ha importanti richiami sia nel campo della crescita personale (Alla scoperta del proprio Clown interiore) che in quello della mediazione sociale (Clownanalyse – il moderno giullare di corte nelle conferenze delle istituzioni sociali e professionali come scuole, ospedali e aziende).

Nei nostri laboratori sono presenti persone provenienti da una vasta gamma di contesti professionali e sociali, di diverse età, con o senza esperienze precedenti nel teatro. Molti tornano a lavorare con noi perché scoprono che la libertà e giocosità di questa attività diventa per loro di vitale importanza.

Indubbiamente, nella società moderna i clown sono di moda, forse per il loro eterno ottimismo di fronte al fallimento, o per il modo naif di vivere la vita a pieno che, controbilancia perfettamente il sistema di valori dominante di una società che premia l’efficienza, il successo, i risultati e la produttività.

Il clowning che pratichiamo consiste in improvvisazioni sul palcoscenico e come tale è un espressione di forma teatrale; come anche i diversi giochi teatrali, i lavori con le maschere, gli psicodrammi e la dramma-terapia. Per noi, comunque, il clown è più di un carattere o una convenzione all’interno del teatro, rappresenta un veicolo o un catalizzatore che facilita l’espressione teatrale dell’immaginazione. Questo è quello che ora spiegherò riferendomi al ruolo che ha “l’immaginazione” nel clowning.

Nonostante riconosciamo che il nostro lavoro ha effetti terapeutici, non lo definiamo come attività terapeutica, ma piuttosto come una attività teatrale all’interno del quale il clown – come mediatore – è al servizio di chi voglia “trovare se stesso” in scena. Il ruolo del clown come mediatore viene dall’uso del naso da clown, che come maschera rivela il nostro io interiore. Per portare il nostro clown in vita ci impone di mettere in gioco noi stessi e la nostra “immaginazione”. Questo definisce il nostro approccio al clown – è l’immaginazione in azione. O, come dice Henry Miller: Il poeta in azione.

Vorrei ora guardare l’immaginazione in azione nell’ottica dello sviluppo del bambino e del clowning.

Il gioco simbolico del bambino

Dai tre anni in poi abbiamo tutti “giocato a” essere qualcuno o fare qualcosa di immaginario – che è ciò che chiamiamo gioco simbolico. Anche se, come bambini sapevamo chiaramente la differenza fra una situazione“reale” e una“immaginaria” – agivamo “come se” l’immaginazione fittizia fosse presente e reale. Philip Malrieu chiama questo atto teatrale “allucinazione auto-diretta”.
Nel clowning riscopriamo lo stesso senso infantile di giocosità che ci permette, con paura e piacere, di aprire la porta alla nostra immaginazione.

Nell’immaginario tutto è possibile e dà al bambino l’agognato spazio per crescere e guarire. Per Winnicott, l’immaginazione è uno spazio caricato col possibile.

Dal 1908 in poi, Freud diede alcune definizioni di giochi per bambini che abbiamo trovato utili al nostro approccio al clowning. “Nel gioco il bambino non solo crea azioni ma anche immagini” – “Il gioco soddisfa solo in parte i desideri di amore e morte e come tale è accompagnato dalla ripetizione” – “Il poeta e il bambino usano emozioni dolorose come fonte di piacere”.

Il lavoro di Winnicott ha dato una spinta aggiuntiva per la comprensione del gioco del bambino e quello che ne trae è particolarmente importante per il clowning. “Giocare è recitare” -. “Giocare o creare implica una comunicazione con sé stesso e con l’altro, un contributo reciproco tra ciò che il mondo dà al bambino e ciò che è preso in prestito dall’immaginazione. È un atto spontaneo e non vincolato. ”
Con tutte queste citazioni se si sostituisce “bambino” con “clown” si ottiene una valida descrizione del nostro lavoro. Il nostro approccio dà alle persone uno strumento per mettere la propria immaginazione sul palco e in atto. La scoperta e l’appropriazione della propria immaginazione è un processo stimolante verso la crescita personale. Ho accennato al fatto che con l’immaginazione tutto è possibile. È vero che sul palco un individuo può essere tutto…ma solo se ci sono regole che dicono: “È il modo in cui lo fai, non cosa fai”. Il clowning è un modo di fare e di essere.

Il clown – una referenza archetipica

È il carattere strano e unico del clown che rende l’improvvisazione nel clowning diversa da quella nel teatro. Per noi del Bataclown, il clown non viene visto come una tecnica nella quale ci si sottomette ad assumere una forma esterna (che sarebbe recitare la figura del clown) ma è piuttosto un archetipo che si scopre dentro di sé (si tratta di trovare il proprio modo di essere clown).

Il clown è innanzitutto un archetipo – un personaggio sempre presente. Ovunque ci presentiamo col nostro naso rosso, il nostro pubblico riconosce il clown. Il naso è la più piccola delle maschere e pure, data la sua abilità di trasformare l’apparenza fisica dell’attore, lo rende ‘altro’ ai propri occhi e a quelli del pubblico. La piccola maschera non solo si vede – rosso e carico di significato – ma è il marchio del clown (in particolare di “Auguste” o “l’uomo buffo” nella tradizione circense) e simbolizza l’eccesso, pazzia, ebrezza ed espansione emotiva…un personaggio visibilmente privo di autocontrollo e totalmente inaffidabile – di fatto l’esatto opposto del modello di persona matura e responsabile nella società.

Quando qualcuno si comporta in maniera stupida o inappropriata potremmo dire: “Smettila di buffoneggiare!”. Anche se a volte proviamo invidia e ammirazione per questo comportamento, talmente represso e svalutato che porta agli adulti che praticano il clowning un interessante stato di disagio e squilibrio. Ed è proprio questo stato che guida il processo creativo che permetta l’attivazione dell’immaginazione.

Il naso rosso ci permette di sfidare l’immagine che abbiamo di noi stessi, destabilizzarla e quindi destabilizzarci; ci invita a compiere un passo da una parte: ci spinge a liberarci della nostra auto immagine, di lasciare il sentiero calpestato del conformismo, di affermare gli aspetti positivi del nostro “lato sinistro”. Senso che mi porta a quella che potrebbe sembrare una definizione paradossale: come archetipo sociale, il clown è un personaggio sinistro ma simpatico, un fumetto sinistro.

Trovare il proprio clown- uno stato d’essere

Il clowning è uno stato di giocosità, di mettersi in gioco che potremmo definire come “essere un clown”. Il nostro lavoro porta le persone a provare uno stato infantile, ingenuo e fragile …… ma anche a sperimentare i suoi opposti mediante l’intensità e l’amplificazione. Ascoltare ed essere ricettivi è fondamentale in questo approccio – che vuol dire che bisogna stare vicini al proprio corpo, ai propri sentimenti e sensi. Coloro che hanno provato il nostro lavoro lo sanno: Ciò che è essenziale nell’improvvisazione del clowning è di rimanere ricettivo a ciò che i nostri sensi, la postura, i gesti, le azioni, la voce e le emozioni ci dicono ….. non salire sul palco con un’idea, un piano o uno scenario pre-concepito. Crediamo che l’ascolto e la ricettività sono elementi essenziali per qualsiasi espressione creativa e fantasiosa. Trovare il clown interiore non è una decisione mentale, ma un attitudine interna. In questo contesto, è importante considerare ciò che accade dietro le quinte, nel camerino prima di venire sul palco.
Per gli attori si tratta di un momento di metamorfosi.

Col naso rosso, gli attori danno vita ai costumi e oggetti che rappresentano i segni esteriori della una nuova esistenza che inizia a prendere forma nell’attore per interpretare la propria storia…e mentre tutto ciò accade l’attore cerca di svuotarsi la mente prima di andare in scena…e, come la marea, si ritirano per dare spazio allo sconosciuto che incontreranno e faranno vivere.

Il vuoto è necessario per quello stato di serendipità (la facoltà di fare fortuite scoperte per puro caso) che porteranno l’attore al clown. E solo allora la nostra comparsa in scena sarà come l’innalzarsi della marea, portandoci al di sopra e oltre di noi stessi…

Questo approccio, credo, possa gettare luce su cosa voglia dire far emergere la fantasia. Michel Tournier lo spiega bene quando parla di espressione creativa: “è ascoltando il corpo, aprendoci ai sentimenti, agli altri, al mondo fisico che cominciamo a sentire quello che “urla la sua volontà di esistere”. Questa ricettività giocosa permette l’immaginazione di emergere.

Tutti possono imparare ad improvvisare. Comporta l’acquisizione di un esperienza sia esterna che interna: l’esperienza esterna consiste nelle tecniche e competenze che compongono il teatro (visibilità, proiezione vocale, ecc) e l’esperienza interna è la sensibilità che ognuno di noi serve per sviluppare le nostre emozioni e la nostra immaginazione. Questo è vero per tutte le attività creative.

La realtà e l’immaginazione

e come si relazionano l’uno con l’altra

Essere un clown è più di uno stato, è un movimento, un processo dinamico – è anche un movimento bidirezionale: i piedi per terra e la testa tra le nuvole. E ‘questo dualismo che facilita l’emergere della fantasia.

Avere i piedi per terra significa stare allerta, avere tutti i sensi attivi, al concreto e alla realtà oggettiva che ci circonda. Quando odoriamo, vediamo, sentiamo e tocchiamo ci apriamo ad essere toccati dalla presenza del mondo. Questa presenza è in concreto la base per l’immaginazione del clown. Come con il gioco simbolico del bambino, il clown trova nel cuore di oggetti, corpi, azioni e spazio, una miniera d’oro su cui far lavorare la propria illimitata fantasia. L’ancora della realtà rappresenta la sicurezza e un invito alla deriva ulteriore nell’assurdo. La maniera del pagliaccio di mettere il suo piede in nella realtà è ridicola, ma allo stesso tempo dà al clown un senso poetico toccante, al tempo stesso comico e tragico.

La maniera del clown di guardare il mondo rivela un mondo al di là di ciò che ne conosciamo e al di là di ciò che il “conosciuto” ci ha nascosto.

Come attori diventiamo canali attraverso i quali le emozioni, i sentimenti e le immagini si muovono e risuonano per rivelare noi stessi. Riconoscendo e accogliendo ciò che è condiviso, dato per scontato e con i piedi per terra, il clown-attore esplora il mondo della fantasia. La realtà oggettiva è la cassa di risonanza dell’invisibile. È il “qui ed ora”, in particolare il “qui e ora” del contatto con il pubblico che libera l’immaginazione. I Clown preferiscono le azioni alle parole. Non pensano il mondo, ma vibrano in relazione ad esso. Il processo del clowning prevede lo spostarsi al confine di due mondi -fra fantasia e realtà. Nel momento in cui iniziamo ad aprirci al mondo e a noi stessi è importante che non controlliamo, giudichiamo o censuriamo ciò che facciamo o rischiamo di tagliarci fuori dal mondo della fantasia (Questo è vero per tutte le forme di espressione creativa). Nel clowning abbiamo bisogno di essere in uno stato permanente di instabilità. È quando lasciamo andare il nostro controllo sulle cose che diventiamo sorpresi dalla profondità di ciò che emerge.

L’immaginazione –

costruire castelli in aria con i piedi per terra

Alcune delle situazioni del clowning che usiamo nei nostri workshop sono fatti appositamente per aiutare gli attori a connettersi con la fantasia. Un esempio di questo è ciò che chiamiamo “L’intervista”. Qui il leader del gruppo intervista un clown su determinata professione, come se fosse per una TV o una radio (L’attore scopre la sua professione solo durante l’intervista). Dando libero sfogo alla sua immaginazione, l’attore inizia gradualmente a costruire un personaggio fittizio. L’intervista è una forte esperienza per la vita di un clown-attore e per il gruppo. Spesso stiamo fra lacrime e risate quando l’attore comincia a vivere la parte e dà vita all’altro fittizio, diverso eppure così vicino all’attore. Durante il feedback che segue l’improvvisazione, gli attori spesso ci raccontano immagini, ricordi e storie della propria vita che gli sono venuti spontaneamente in mente mentre erano in scena.

Nel feedback che diamo agli attori dopo le loro improvvisazioni, non diamo interpretazioni psicologiche di ciò che vediamo, ma parliamo solo di quello che è visibile a tutti. Restiamo chiaramente nel regno del teatro. Ciò che rende l’atto creativo un espressione universale è che esso riflette la nostra umanità e la verità.

Come accennato in precedenza, ci prendiamo molta cura per creare un ambiente sicuro nel nostro lavoro. Giocare è una forma di lasciarsi andare che deve essere basata su regole che servono da garanzia. È per questo motivo che diamo un significato speciale all’uso del naso, a una chiara definizione dello spazio che rappresenta la scena, alla necessità di un contatto visivo con il pubblico … e per l’attore di rimanere “in contatto “con i commenti e le informazioni che il capo gruppo dà durante un’improvvisazione. Io uso spesso l’esempio di aquilone per esprimere la relazione tra gli attori e il loro pubblico (il leader del gruppo è parte di quel pubblico). Proprio come un aquilone ha bisogno di essere collegato a terra con il suo filo per volare, gli attori saranno più liberi di godersi le emozioni e le sensazioni di volare nella loro immaginazione quando assicurati alla base della realtà. Ma aquilone è un’arte raffinata e il leader del gruppo deve a volte lasciare o stringere la sua presa, si spera nella giusta proporzione in modo da non limitargli il volo. Il ruolo del leader durante un’improvvisazione è quello di “facilitare”. Uno dei modi in cui lo facciamo è quando evidenziamo i fatti visibili e concreti di ciò che sta accadendo, che gli attori (che sono nel bel mezzo di tutto) possono facilmente perdere.

 L’immaginazione – un atto di dialogo

Dopo una improvvisazione arriva il momento di riflessione e commenti che chiamiamo feedback. Questo ci (attori o spettatori) dà la possibilità di esprimere ciò che abbiamo vissuto e di dare senso a come il lavoro ci riecheggia dentro. Il ruolo del leader è quello di aiutare gli attori a dare un nome e comprendere ciò che è stato messo in scena. Diversi aspetti della performance vengono richiamati, chiariti e assimilati nella coscienza. Come si sono rapportati i personaggi che sono apparsi? Quali sono stati i punti salienti del dramma? Quali emozioni sono state espresse? Come si sono sentiti gli attori e come hanno affrontato la rappresentazione? Si sono ascoltati l’un l’altro? Si sono collegati a sensazioni e immagini (che nel clowning sono strettamente legati) e hanno dato loro libera espressione?

Gli attori possono, se lo desiderano, condividere ciò che gli ha emozionati o colpiti. Una lettura teatrale di tutti questi elementi porta una crescente consapevolezza e significato al lavoro. Così l’espressione della fantasia è davvero un atto di dialogo. Il clowning può essere un’espressione del sé più profondo dell’attore, ma ciò che il clown rivela, come pubblico, ci riguarda direttamente (toccando i temi di vita, amore e morte) e può ispirarci, commuoverci e diventare come uno specchio tenutoci di fronte. Il clowning ci dona una luce diversa per illuminare il lato più oscuro della nostra fantasia e dei nostri sogni (1).

(1) Dalla nostra amica Rosine ROCHETTE riferendosi al lavoro di Ariane Mouchkine nel campo del clowning: “Mi piacerebbe dire qualcosa che Ariane ci consigliò di fare per trovare il nostro clown. Era di contattarci dentro dove ci sentiamo di essere in deficit rispetto a quello che la società si aspetta da noi. È stato come ritrovare i luoghi dove si scivola, dove ci si sente un estraneo, dubitare della propria sanità mentale e diventare unico … in fondo qualcosa a che fare con il proprio profondo sé”.

E’ quando i mostri interiori escono alla luce del sole che in genere, diventano per noi e il nostro pubblico oggetti di grande divertimento e piacere. Attraverso loro possiamo cominciare ad affrontare la nostra auto-consapevolezza e la nostra umanità. L’improvvisazione è per noi un atto di consapevolezza attraverso il dialogo.

Un’altra cosa da notare è che l’immaginazione sfida anche il nostro rapporto con l’autorità, le regole e le norme sociali. Attività creative o espressive definiscono le norme sotto le quali operano hanno bisogno di trattare i gradi di originalità e anticonformismo che possono tollerare. Il clown è comunque un “non-conformista”, per definizione, e svolge un sottile gioco con le regole e le convenzioni sociali. Nel clowning l’attore non deve più essere la persona responsabile, matura, colta e intelligente che tutti (ovviamente) siamo, ma può diventare uno spirito indisciplinato incline agli eccessi e appassionato esploratore dei limiti delle cose.

Oggi durante una delle improvvisazioni, due clown – due viaggiatori carichi di valigie – sono saliti sul palco e sono rimasti, valigie e tutto, paralizzati e incapaci di muoversi. La sospensione è stata meravigliosa. Questa esperienza ha aumentato l’intensità del loro rapporto: nei suoi conflitti e nei momenti di autentica tenerezza. È stato un perfetto esempio di come possiamo vivere intensamente in sospensione.

Il giocherellare del clown sui limiti permette agli attori di esplorare e giocare al confine dei propri limiti. Nel clowning andiamo oltre quel confine e torniamo, ma perdoniamo la trasgressione del clown perché scorre con grazia e stile. Si tratta di un atto di acuto equilibrio tra immaginazione e realtà che rende questa snervante presa in giro delle regole, norme e convenzioni possibile.

Concludendo, spero di aver chiarito quanto sia vitale il ruolo del corpo alla nascita della fantasia. Non è mai facile spiegare e concettualizzare un’attività in modo tale che rimanga comprensibile a coloro che non l’hanno provato (o anche a coloro che hanno). Ciò che definisce il nostro lavoro al Bataclown è la crescita personale attraverso l’espressione creativa. Qui, il leader che ha l’esperienza del processo ha due ruoli:  “facilitare” l’emergere dell’immaginazione nell’attore e creare un contesto in cui l’esplorazione del clown diventi possibile. Questo processo unisce un rigoroso metodo all’interno di un ambiente sicuro. Significa ricevere e accettare tutto ciò che si manifesta (un vero e proprio approccio Rogersiano….) e “facilitare” l’esplorazione mediante i sensi, le emozioni e la fantasia del clown. Come leader del gruppo, restiamo fedeli allo spirito del clowning quando scorriamo con il processo creativo di ogni persona, quando coltiviamo la sua espressione emotiva e l’emergere dell’immaginazione (che è una messa in scena di atti simbolici) e quando facilitiamo e liberiamo gli attori per trovare il proprio clown, unico e ancorato alla loro relazione con il pubblico. I nostri workshop offrono uno spazio prezioso in cui possiamo costeggiare giocosamente attorno al nostro pubblico.

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